
“Perdersi a guardare” un'Italia mai vista, fatti di particolari e di scorci inediti. Ogni luogo è decontestualizzato e (ri)significato nei particolari, catturati in inquadrature parlanti emozioni. Trent'anni di immagini ed emozioni, un tempo lungo tutta la penisola italiana dalle Alpi alle isole, entrando ed uscendo da edifici, creando immagini ed immaginari nuovi. L'antro della Sibilla (Cuma 1985) potrebbe a ragione aprire la mostra che con quasi 136 opere, alcune delle quali inedite, dà avvio ad una sorta di percorso iniziatico nella fotografia di Jodice e nella memoria del nostra Paese. Tra i resti romani e medievali degli Scavi Scaligeri, sotto il livello della strada, ci immergiamo nel passato, sospendiamo il presente per calarci, grazie alle fotografie di Jodice, in un'atmosfera sospesa, carica di emozioni. Le finestre si aprono su muri coperti da rampicanti (Milano 2003 Spazio Erasmus), la porta chiusa di una villa davanti alla quale sta come guardiano un agave sembra celare un mistero (Capri 1984 Villa Sarah). Il fascino delle rocce, morbide come pieghe e plissettati panneggi della natura (Stromboli 1999) modellati dall'acqua dialoga con gli intensi ritratti di statue (Baia 1993 il compagno di Ulisse). Vorremmo scalare il muro sfuocato del Palatino (Roma 2005) che ci permette solo di vedere le cupole delle chiese romane, come una siepe leopardiana che cela l'immensità di una visione. Quando l'uomo non c'è più resta l'architettura, geometrie, materiali e resti di presenze parlanti (Torino 2005 Stabilimento Fiat Mirafiori), fessurazioni inesorabili della natura e oggetti non più utili, scarpe vecchie lasciate a testimoniare presenze di ieri e assenze di vita di oggi (Napoli 1982 Real Albergo dei Poveri) Ma c'è anche l'area industriale di Marghera (1996), spettrale tra sassi e mura. Ogni momento può nascondere una visione, un'epifania da fissare sulla pellicola. Ecco allora che anche l'ombra può diventare protagonista, soggetto tra gli oggetti o soggetti tra i soggetti. L'ombra dell'albero sul muro ne ricostruisce visivamente il tronco “mozzato” dal muro stesso (Paestum 1985) o tra gli atleti “bianchi” ne compaiono altri “neri”, della magica materia dell'ombra (Ercolano 1985 Atleti della Villa dei Papiri). E gli affreschi pompeiani dell'insula occidentale sembrano animarsi e persino urlare (Pompei 1982), come la testa di Medusa che crea uno scenario orrifico. La pittura vive mentre nella teca sta l'uomo morto, sorpreso dalla forza dirompente della natura che non lascia scampo. Urlano anche le larve umane del Museo monumento al Deportato (Carpi 1990), scheletri rivestiti di pelle senza volti, ad urlare in maniera espressionista la barbarie umana. Dalle vette della visione dall'alto del tripudio di guglie e pinnacoli del Duomo di Milano (Milano 1999 Duomo) scendiamo alla velocità delle montagne russe di nuovo giù, nell'abisso, nella Napoli delle grotte e del sottosuolo (Napoli 1980 Castel Sant'Elmo), verso il centro della terra. La discesa nella terra è discesa nella propria interiorità, alla ricerca del senso delle cose, per poi riemergere pronti per la visione. Ogni fotografia è una storia che si intreccia a più narrazioni in viaggio nel tempo e tra i luoghi. Jodice riesce nel suo tentativo di restituire l'anima delle cose con inquadrature pulite che non vogliono documentare, far vedere la realtà in modo oggettivo o costruirla ma bensì essere un prodotto emozionale. Chiude la mostra l'immagine di una sedia bianca, vuota, di fronte al mare. Un attimo di tregua per dissetarsi d'orizzonte (Sibari 2000), per viaggiare con l'immaginazione ed allontanarsi dalla realtà prima di ritornare in superficie.
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