giovedì 24 luglio 2008

LA COERENZA è SERVITA

Doppia versione (televisiva e cinematografica) del kolossal rai sui comuni lombardi
Barbarossa: il film «leghista»
Le imprese di Alberto da Giussano «Comparse rom, costano poco»
DAL NOSTRO INVIATO
BUCAREST — Vessilli bianchi segnati da una lunga croce rossa sventolano sulla facciata del palazzo dell'antico Comune annunciando la riscossa. Alberto da Giussano avanza fiero, spadone alla cinta, giustacuore di pelle, i ricci neri stretti da una fascia. Da lì a poco la grande battaglia. Lui a capo della Compagnia della Morte, 900 giovani pronti a sacrificarsi per difendere quel Carroccio simbolo dell'unione tra i comuni lombardi contro Federico Barbarossa. Ma stavolta, a salire su quei carri e annientare a colpi di falce lo straniero invasore, ci sono dei romeni. Anche dei rom.
Promossi sul campo, anzi sul set, a eroici «lumbard» senza macchia nè impronte digitali. Con buona pace di Bossi. Capita che il cinema si faccia beffe della storia ribaltando fisime e tabù anche quando meno lo si vorrebbe. Certo non era questa l'intenzione di Renzo Martinelli, regista amico del Senatur, in questi giorni alle prese con Barbarossa, kolossal fanta-storico da 30 milioni di dollari coprodotto da Rai Fiction e Rai Cinema, cast internazionale, da Rutger Hauer (l'imperatore germanico) a Raz Degan (Alberto da Giussano), da Kasia Smutniak a Cecile Cassel, da Angela Molina a Murray Abraham. Un epic-movie dalla doppia vita (una versione per il grande schermo, un'altra per la tv) fortemente sostenuto dalla Lega di oggi, in cerca di un passato da mitizzare. Ricostruito però, per ragioni tecnico-contabili, anziché nella gloriosa terra di Legnano nella «sospetta» Romania. Dove la campagna ancora intatta consente di evocare credibilmente scenari del XII secolo, dove ottimi studios offrono a ottimi prezzi artigiani e comparse di qualità. Maestranze capaci di cucire in poche settimane un migliaio di costumi (disegnati con cura maniacale da Massimo Cantini Parrini), di edificare pietra su pietra (anche se di polistirolo) quella che poteva essere la Milano del 1158, con le mura difese da grandi torri, le piazze circondate da case basse, banchetti con esposti vasi e stoffe, la bottega del maniscalco, la chiesa di mattoni la cui facciata, spiega la scenografa Rossella Guarna, ricalca quella romanico-lombarda di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia. Una vera città, destinata a crescere e dilatarsi in post produzione grazie alle magie del digitale. «Sei mesi e 2 milioni di euro per costruirla», svela Martinelli. Soldi ben spesi. «Qui dentro girerò anche il mio prossimo film, sull'alluvione di Firenze. Quel che costa è la struttura di legno, che verrà conservata e adattata ai nuovi fondali».
E come per presagio ecco che vien giù un acquazzone che trasforma in pochi minuti strade e piazze di terra battuta in gigantesche pozzanghere. Ma non ferma il set. In Romania non accade mai. «Sì, forse è paradossale girare qui una storia del genere, ma in Italia i costi sarebbero almeno triplicati», assicura il regista, che i conti li sa fare visto che è anche produttore dei suoi film e «totalmente contrario al cinema assistito». «Qui posso permettermi una troupe di 130 persone, solo 15 gli italiani, i capisquadra. Qui ho a disposizione migliaia di comparse, cavalli e stuntman a bizzeffe. Un macchinista in Italia costa 1500 euro al giorno, qui 300. Da noi dopo nove ore scatta lo straordinario, qui non esistono limiti d'orario. Per la manovalanza si usa lo "zingarume rumeno" a 400, 500 euro la settimana». Espressioni degne di Borghezio. Del resto Martinelli non è uno da mezze misure. L'idea delle impronte digitali non gli dispiace: «Vorrei sapere chi viene in casa mia», anche se ammette: «In Romania ho incontrato tanta gente perbene, purtroppo in Italia arriva solo la feccia». Prudente e avveduto, Raz Degan evita di farsi fotografare sotto le bandiere scudocrociate, ma presta volentieri il suo bel volto e il suo collaudato talento (Centochiodi di Olmi ha segnato la svolta) al leggendario condottiero da Giussano. «Alberto forse non è mai esistito. Questo lo rende anche più stimolante, mi permette di lavorare di fantasia e poesia», sostiene. Un lavoro di costruzione del personaggio lungo e complesso. «Ho iniziato a evocarlo mesi fa, nel mio trullo di Cisternino, solo con il mio cane e il mio cavallo. Una realtà arcaica, primordiale, di fuoco, cibo, animali. Poi ho trasformato il mio corpo, otto chili di muscoli in più, per somigliare al fisico di un guerriero. Quindi dalla pelle sono passato all'anima. Cosa trasforma un ragazzo qualsiasi in un eroe popolare? Una forza che arriva solo quando hai perso tutto: genitori, fratelli, la donna amata. Quando non hai più nulla da perdere, solo allora puoi cominciare a vincere». Per nulla preoccupato di dover finire infilzato da lì a qualche ora dalla lama dell'impetuoso giovanotto da Giussano, Murray Abraham, nel film l'infido siniscalco Barozzi, pregusta divertito la sua fine: «Di questa vostra storia non so quasi niente - confessa -, ma avere a che fare con personaggi di simile statura, anche se per fiction, è comunque un onore in un mondo dove i leader politici mi sembrano tutti molto piccoli e meschini. In questo senso l'arte è un rifugio e un antidoto. E adesso, dopo tanto cinema e teatro, voglio cantare. Ho una discreta voce baritonale, sto studiando il Gianni Schicchi, la mia opera preferita. C'è un teatro italiano che voglia farmi debuttare?»

Giuseppina Manin
24 luglio 2008

lunedì 21 luglio 2008

STO MALE

LA BUROCRAZIA, LE TASSE, LE SPESE, IL NON SAPERE, IL NON SAPERE CHE COSA DEVO SAPERE MI STANNO UCCIDENDO.
STAMATTINA STAVO BENE.
PRIMA DI FARE L'ENNESIMO GIRO PER UFFICI E NON AVERE TUTTA LA DOCUMENTAZIONE. ANCORA PER UNA VOLTA. PRIMA DI NON CAPIRE UN CAZZO. PER L'ENNESIMA VOLTA. PRIMA DI DOVER TORNARE DOPO ESSERE ANDATA ANCORA DA UN'ALTRA PARTE.
LA MIA MIMICA FACCIALE è STRAORDINARIA, I MIEI SILENZI PARLANO DELLA MIA MORTE DENTRO, DELLA MIA INCREDULITà RISPETTO A QUESTI STRAORDINARI MECCANISMI DELLA VITA.
QUANDO MI CHIEDONO SE HO CAPITO CONTINUO A RIPETERE "NO" E NON STO FINGENDO.
ANCORA E ANCORA. MI ERO ILLUSA DI AVER SUPERATO LO SCOGLIO. INVECE LA ROCCIA HA CEDUTO SOTTO I MIEI PIEDI E SONO SOTT'ACQUA. DEVO FARE 1000 COSE, 1000 ALTRE COSE CHE AVEVO PREVENTIVATO E INVECE NIENTE. DEVO FARE QUELLE CHE PENSAVO DI AVERE FATTO O QUASI. LE COSE SEMPLICI DIVENTANO COMPLICATISSIME E QUELLE COMPLICATISSIME RESTANO TALI.
PERDO TEMPO, PERDO IL MIO TEMPO E IL SORRISO. MI INCURVO ALLE PREOCCUPAZIONI E SORRIDO OSSEQUIOSA AL NULLA. AD UN NUOVO ADDETTO.
CERCO DI NON PERDERE LA PAZIENZA MA VORREI URLARE... VOGLIO ESSERE UNA BRAVA CITTADINA. ME LO PERMETTETE?
(FORSE LA GENTE CHE NON PAGA LE TASSE LO FA PERCHè è COMPLICATO, PERCHè SI STUFA PRIMA DI ARRIVARE AL FINISH)
HO 3 POSIZIONI PREVIDENZIALI E NON SONO NEMMENO INCINTA
E CHE CAZZO!!!


devo vestirmi da autista (camicia azzurra e pantalone nero) e sperare che qualcuno voglia fare conversazione.
così magari qualcuno mi spiega come va il mondo... più o meno...

domenica 20 luglio 2008

Giocando col popular

Celata, Piazza Duomo, Trento, 5-17 luglio 2008

Dalle mattinata di sabato 5 luglio fino al 17 luglio Piazza Duomo è stata protagonista dell'installazione dell'artista Anna Scalfi “Celata (sotto la piazza scorre una roggia)”. Sulle lastre di pietra rosa che dal 1867 nascondono l'antica roggia che scorreva lungo la piazza principale della città sono state posizionate 22 lavatrici funzionanti a disposizione degli abitanti dei dintorni o dei passanti.
L'intervento proponeva una provocazione artistica che metteva in contrapposizione il volto noto e la quotidianità di Piazza Duomo, uno spazio pubblico, con oggetti "privati". Il cortocircuito visivo e concettuale suscitava nuove domande d'uso sulla piazza. L'artista la definiva “una operazione di archeologia contemporanea” e “una azione collettiva che si snoda lungo dieci giorni”. Lo spunto archeologico rimanda appunto ad una riflessione sull'innovazione tecnologica e sulla malinconia per un tempo di entusiasmo verso l'emancipazione che è scemato in anni recenti spesso a favore di un altro tipo di malinconia, quella per i tempi andati che si associa alle riscoperta/rievocazione acritica di “antichi valori”.
L'installazione del lavoro si è conclusa con un lavaggio collettivo dei panni sporchi in piazza. (dal Comunicato Stampa)


Anna Scalfi (Trento, 1965) attualmente lavora a Londra dove porta avanti il progetto “From inside (I like the system)”, un programma di PhD al dipartimento di Finance, Accounting and Management dell’University of Essex, UK. La sua attività si caratterizza per i tentativi di intrusione del linguaggio contemporaneo nella quotidianità con uno sguardo spesso rivolto al ripensamento critico degli spazi di riflessione e amministrazione della società.

Welcome to Italy, Mart, Rovereto, 4 maggio 2007 - 10 giugno 2007


Settantasei bandiere, hanno pacificamente invaso la piazza del Mart, eccezionalmente non per un evento sportivo, ma per il progetto artistico dell'artista e sociologa trentina Anna Scalfi che rappresenta 'fisicamente', sezionandole in base alla percentuale di donne sulla scena politica, la classifica mondiale della rappresentanza femminile in Parlamento, con l'Italia al settantaseiesimo posto, in coda a molti paesi in via di sviluppo. Nel 2007 anno europeo delle Pari Opportunità è opportuno fare un bilancio sulla situazione delle donne e constatare la loro esclusione dai vertici del potere, sia in ambito imprenditoriale che politico, nel privato come nel pubblico. L'operazione artistica di Anna Scalfi, un progetto di installazione, video e conferenza sui motivi dell'esclusione, ha il merito di portare in piazza in maniera brutale e plastica questa realtà. "Il personale e' politico" urlavano le femministe. Sulla scia delle loro battaglie e in linea con l'irruzione del pubblico-politico dell'arte e del momento progettuale dell'opera in Josef Beuys e con le ironiche operazioni delle Guerilla Girls (1985) sulle discriminazioni in ambito artistico, si posiziona il lavoro di questa artista, che mette in scena, con verve giocosa ma al contempo caustica, lo spettacolo delle discriminazioni e delle differenze, insinuandosi nella maglie della quotidianità, con elementi dissonanti che creano piccoli shock percettivi, sollevando nuovi interrogativi o rispolverandone di vecchi, come la trasformazione degli omini dei semafori e sui cartelli stradali di lavori in corso in donnine, con la semplice applicazione di un po' di scotch (Green woman on the traffic lights, 2005; Woman on the work in progress signal, 2006). Il lavoro di Anna Scalfi è un lavoro femminile ma al contempo femminista, che sfrutta gli stereotipi per urlarne la parzialità. È una battaglia a partire dall'analisi della realtà, superando il binomio arte/vita, che riconosce l'importanza del tessuto connettivale della società dalla genesi dell'opera fino alla sua fruizione e 'interpretazione' in continuo progress. I simboli popular, portatori di significati e convenzioni massificanti, vengono ricostruiti e reinventati, con operazioni minimali, attraverso l'applicazione di scotch su segnali stradali o ai semafori pedonali, o con l'aiuto di sarte che confezionano nuove bandiere, o magari affittando un distributore automatico. Ogni oggetto quotidiano è portatore di significati e convenzioni, veicola messaggi a volte pericolosamente massificanti. Sono veri e propri 'esercizi di sorpresa' dal risultato sempre imprevedibile. La bandiera, come anche il segnale stradale, assurge a simbolo ed autorappresentazione di un paese, veicolando comunicazione ed identità. Ma è una comunità monca: la rappresentazione convenzionale in nome dell'oggettività insabbia un genere.
Occorre, allora, intervenire, 'donne al lavoro', senza dimenticare la 'gonna' della propria femminilità. Non a caso sono donne le sarte, filmate al lavoro, chiamate a 'correggere' le bandiere cercando in esse una rappresentanza e rappresentazione. Cucito e ricamo sono occupazioni da secoli riservate alle donne e recentemente scoperte da uomini, ma, ahimè, solamente artisti. È un lavoro domestico, da angelo del focolare, come pure quello di accudimento e cura rimasto appiccicato alle donne, ancora relegate all'ambito privato, mentre i colleghi maschi banchettano in quello pubblico. Per creare una società equilibrata si deve ridefinire un nuovo patto sociale tra i 2 generi. Via libera quindi anche a segnali e bandiere 'al femminile' perché l'unico vero “vilipendio” è l'esclusione delle donne da un ruolo attivo nella società.

Family Monument ovvero l'effimero e il monumento


Strana gara davvero quella che si è conclusa domenica 10 giugno 2007 al Teatro Sociale di Trento nel corso di una serata in diretta televisiva sulla emittente locale TCA. Strana gara e strani i vincitori! Non si trattava infatti di una nuova maratona sportiva, di uno strano concorso di design o di bellezza. In un certo senso era un'operazione simile ad un casting, per reclutamento e selezione. Ma andiamo con ordine, rigorosamente inverso. Dopo mesi di attesa e di polemiche Trento ha finalmente la sua famiglia media, un cuore pulsante di carne e sangue che l'artista inglese Gillian Wearing immortalerà in un monumento di bronzo che verrà collocato entro l'anno in Piazza Dante. Il sindaco ha rassicurato sulla collocazione finale ma la Giunta non ha ancora – stranamente - deliberato in proposito. Che sia in disaccordo col primo cittadino o con l'opera? Una famiglia sola - con rigorosa indicazione del nome, anzi cognome (Giuliani) - a rappresentare tutte le famiglie: insomma in una piccola grande sineddoche il Trentino simbolo dell'Italia e della sua famiglia grazie ad una operazione artistica, targata Gillian Wearing-Galleria Civica di Trento. Ma se l'arte è un ombrellino che ripara da tutte le critiche, come diceva l'istrionico ed irresistibile Patrizio Roversi nella serata Family Night al Sociale, quest'ombrellino doveva avere qualche 'infiltrazione' viste le numerose critiche. Certo, alcuni sono saliti sul carrozzone nel criticare l'attività della Civica, 'colpevole' di avere un direttore troppo aperto all'arte di fuori provincia e non coadiuvato da un comitato scientifico - non eletto, come previsto nel Regolamento, dal Comune - che ne moderi gli estrosi entusiasmi, ma i punti in sospeso sono tanti. I soldi spesi per l'operazione paiono troppi e la fama internazionale dell'artista non convince Trento: perché non optare per artisti locali o perlomeno nazionali, scelti attraverso un concorso? Si vocifera poi anche di strani accordi con l'Oriente, di un bozzetto che verrò creato lì a partire dalla fotografia della Wearing da altri e poi fuso. Ancora una provocazione o una efficace dimostrazione del lavoro del mondo dell'arte? D'altronde anche l'italiano Pistoletto si vanta di non aver mai toccato uno specchio, quegli stessi oggetti che ne hanno decretato la popolarità, fiero di essere un intellettuale e non un artigiano. Comunque parlare di famiglia oggi è certamente di grande attualità – ma l'arte non doveva 'anticipare' la realtà? -: dalla politica alla cronaca, dalla religione alla pubblicità siamo bombardati. Si parla di famiglia come di un concetto 'univoco', condiviso, spesso sottacendo spiegazioni considerate inutili. La società cambia e con essa anche la famiglia. L'ISTAT si adegua e considera famiglia anche un nucleo con un solo componente. Cambiamenti macroscopici ma allo stesso stesso microscopici nella mentalità comune. È possibile afferrare la “famiglia”, almeno in una piccola Regione? Un aiuto nel compito della classificazione e dell'etichettamento è stato fornito dalla statistica, nella persona del prof. Ivano Bison che tra grafici a torta e colonnine (in mostra in 3D alla Civica!!) ha cercato di dare un volto matematico a questo concetto, renderlo oggettivo, verificabile, medio. Forse perché in media stat virtus... Purtroppo però a partire non dai dati statistici 'freschi' recuperabili anche on line dal sito del Comune (2006) e della Provincia (2005). Solo un errore di forma o di sostanza, con una valenza politica? Può essere una buona domanda visto che anche il marchio “Family in Trentino” presenta una allegra famiglia di 4 membri. Una coincidenza o un segno di vicinanza all'ideologia cattolica del Family Day? Definito a suon di numeri il tipo da cercare, una famiglia con un numero di componenti superiore di ben un punto percentuale alla 'realtà', si è provveduto alla ricerca, o meglio alla chiamata con comunicati stampa ed annunci sui quotidiani locali. Che questo errore numerico abbia inciso anche sulla risposta delle famiglie? Parallelamente brevi video-interviste a coraggiosi passanti e contributi scritti costituivano la documentazione 'dal basso', la vox populi. Da una parte la 'realtà' delle statistiche e dall'altra l'idea della gente o meglio l'idealizzazione. Una ventina di coraggiose famiglie si sono fate avanti spinte un po' per gioco e più dal desiderio di vedersi immortalate, o immolate, in un monumento che per perfetta rispondenza ai 'nuovi canoni'. Dopo una scrematura le cinque famiglie finaliste sono state vagliate da una giuria che riuniva esponenti politici, religiosi, artistici, culturali e dell'informazione. A dispetto delle statistiche, e forse dei pronostici, è stata scelta una famiglia a-tipica, mista (la moglie è di origini greche), giovane e con un bambino più piccolo rispetto alle 'richieste', per non 'stare troppo indietro' rispetto ai tempi che cambiano. Anche se comunque le famiglie miste non sono certo una novità, nemmeno per il Trentino, perlomeno dal 2000... Di fronte al concetto che diventa, nella statistica, stereotipo ci si ribella, scattando in avanti, mescolando ai numeri altri criteri. Quelli estetici. Perché vogliamo essere belli per “guardarci”, con ancora più stupore e nostalgia, invecchiare e cambiare come società. Nel frattempo per il mese di giugno la Galleria Civica si è trasformata in un set televisivo per realizzare il talk show “Family Talks”: tre appuntamenti (5, 14, 19 giugno) per discutere con piglio multidisciplinare di famiglia, tra percezione e realtà, deriva futura (la famiglia trentina, la famiglia reale e la famiglia del futuro). La televisione fa parte della nostra quotidianità, media e plasma anche i nostri pensieri. Allo stesso tempo accanto alla manipolazione del dato reale ne consente una rappresentazione 'oggettiva'. È quest'ultimo aspetto l'aspetto che interessa a Gillian Wearing. La stessa tensione verso il reale nel tentativo di fissarlo lo dimostra il suo utilizzo della fotografia e del documentario.
Fissare l'inafferrabile e per di più immobilizzarlo nel bronzo, eternare un concetto, attraverso una forma realistica, rappresentativa. C'è una sottile e disarmante ironia in questa operazione. Anzi l'ironia è spalmata su livelli differenti: sull'uso e l'importanza della televisione, sul protagonismo sfacciato da reality show, sulle simbologie, sulle etichette. La storia del linguaggio è la storia delle etichette, del tentativo di catturare l'inafferrabile, della costruzione di concetti astratti e di rappresentazioni. Adamo si macchia in questo di ùbris (tracotanza), cerca di sfidare il tempo e lo spazio, costruendosi vocabolari. La Wearing si comporta da sociologa e da confidente, cercando di mediare tra la statistica, la realtà e l'idealizzazione, nello spinoso terreno schizofrenico tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Informandocene. Facendoci riflettere su elementi della nostra quotidianità e della nostra esperienza, costringendoci a fare i conti con i nostri tabù, le nostre rigidità e banalità. Per darci, forse, la possibilità di fare un passo in avanti, di osservare ed osservarci con uno sguardo diverso e consapevole. Non parla per noi e di noi, ma ci interroga complice, attenta, pensierosa. Non dà giudizi, raccoglie ed elabora informazioni, stimola movimenti sotterranei. È un'arte relazionale (Nicolas Bourriaud, Esthétique relationnelle, Paris 2001), filtrata attraverso i media, che assume anche una valenza sociale e politica. L'opera d'arte non è calata dall'alto, imposta, ma in un certo senso concordata, frutto di reciproche influenze ed interrelazioni tra artista e fruitore, come ben dimostra il continuo mutare del progetto della Wearing, dal titolo (The Perfect Family, The Real Family, Family Monument) alle modalità di realizzazione. Allo stesso tempo diventa un progetto di arte pubblica, che esce al di fuori dei progetti spazi di un luogo consacrato all'arte per entrare attivamente e fattivamente nel tessuto urbano e sociale. Da quest'autunno avremo la Famiglia in piazza. Forse.

16 luglio 2008
«Mi sono visto!» è il primo commento entusiasta di uno dei membri della famiglia Giuliani, il piccolo Leonardo, che non resiste alla tentazione di sbirciare sotto il drappo che proteggeva da occhi indiscreti il monumento alla famiglia tipo trentina nel 2007, che coincide con la sua. Emozionate anche le amiche nonché compagne di scuola di Maria Eleni, Cristina, Linda e Mariagiulia, che commentano: «È diventata famosa. La statua le somiglia abbastanza. Non siamo invidiose di lei ma siamo felici per l'opportunità che le è stata data» ma aggiungono in coro «No! Noi non avremmo voluto essere al suo posto», ma non disdegnano la foto. All'inaugurazione anche gli 'abitanti' di Piazza Dante, incuriositi. Paolo e Ronny ci dicono: «Si aspettava l'arrivo del monumento. Ci hanno portato via alcune panchine. È un'opera molto bella e in un bel posto. Sono soldi spesi bene». Di tutt'altro avviso Rosemarie Callà, secondo la quale «Il budget è stato troppo elevato se il principio conduttore del monumento è quello di parlare della famiglia e valorizzarla. Ci sono poche informazioni circa le modalità di realizzazione del monumento, probabilmente eseguito in Cina per risparmiare sui costi. Se è così, non è certo una cosa positiva viste le pessime condizioni di lavoro in quel paese». Critico invece anche un gruppo di manifestanti delle associazioni arcigay e arcilesbica, la cui portavoce, Roberta Ferrario, ci dice: «Il monumento ci sembra incompleto. Noi siamo qui come un'aggiunta», rappresentando le “Invisible families”, nuovi gruppi famiglia assenti nella statistica alla base del monumento di Gilliam Wearing. Aggiunge ancora «Non siamo contro l'opera d'arte in sé ma contro l'esposizione pubblica che la fa diventare monumento e quindi un modello, un'idea di famiglia che rischia di creare discriminazioni nei cittadini trentini». Niente musi lunghi, invece, per la famiglia Spinelli, scartata nella finale del 10 giugno 2007 al Teatro Sociale di Trento con le altre finaliste, le famiglie Scartezzini, Callegari e Ghidoni, ma addirittura un po' di sollievo, date le numerose polemiche «A questo livello la cosa mi imbarazzerebbe. Anche se un monumento in vita non mi dispiacerebbe» ci confida il capofamiglia, che esplicita il suo grande amore per il karaoke e la sua mania di protagonismo. Un desiderio accontentato dall'artista Gian Marco Montesano che ha autonomamente realizzato un loro ritratto a grandezza naturale (1,80x1,50) su un basamento. Per un'opera d'arte persa un'altra guadagnata.

lunedì 14 luglio 2008

Ah, le vacanze!!

RAPPUT - Senza fiato
(C. Bisio, S. Conforti)

E quella volta un domenica d'ottobre gia' l'autunno ci moriva addosso
io fumavo sigarette amare tu come uno specchio rotto riflettevi
quell'immagine sbiadita del ricordo del frammento di un brandello del
profumo di quell'angolo d'estate e mi dicesti: "Voglio vivere la vita
come un alito di vento nell'aurora ch'è inseguita dalla notte già
racchiude le speranze d'un domani tutto mio che mi appartenga e come
donna accarezzare nuovi scampoli d'assenza" io dicevo "Si capisco vuoi
gli scampoli d'assenza" ma pensavo
PUTTANA

Cosi' pensasti decidesti mi annunciasti "quest'estate vado in Grecia
con Giovanna mi preparo ad accarezzare nuovi scampoli d'assenza" io ti
dissi "scusa cara cosa cazzo ti prepari per l'estate siamo ad ottobre
e' quantomeno prematuro" tu piangesti tutta notte ed al mattino ti
svegliasti gli occhi pesti ripiangesti mi dicesti: "siamo onesti vuoi
che resti per tarpare le mie ali ed impedirmi di volare e come donna
accarezzare nuovi scampoli d'assenza" io ti dissi "no prudenza non
potrei vederti senza quei tuoi scampoli d'assenza io rispetto le tue
scelte" questi dissi ma pensavo dentro me che tu e Giovanna in Grecia
c'andavate solo per sentirvi
PUTTANA

Poi sei tornata dalla Grecia io fingevo che non m'importava niente ti
chiedevo le notizie piu' banali tipo: "chissa' quanta gente avrai
trovato che bordello di turisti" tu negavi ed affermavi " no no no
no no no no no no no no no eravamo solamente io Giovanna sopra
un'isola deserta insomma tipo c'hai presente due chilometri di
spiaggia tutta vuota dormivamo in un capanno in riva al mare ed ogni
sera i pescatori ci portavano del pesce facevamo le grigliate sulla
spiaggia e cantavamo a scuaciagola e canzoni di Battisti fino all'alba
tanto l'isola e' deserta" mi dicevi e io pensavo "ma che cazzo tutti
quelli che ritornan dalla Grecia sono stati sopra un'isola deserta
tipo c'ho presente due chilometri di spiaggia vuota col capanno e i
pescatori ma contando tutti quelli che mi dicono 'sta cosa io mi
chiedo quante cazzo d'isolacce deve averci questa merda d'una Grecia e
poi questi pescatori greci non potrebbero pescare in alto mare ed
inficcarsi con le reti senza andare ad importunare le ragazze come te
che normalmente sono brave ma travolte dagli eventi non disdegnano di
fare la
PUTTANA

E adesso tu mi chiedi come mai son cosi' pallido e patito mentre tu sei
tanto sana la risposta e' fra le rige di quest'aria che ti canto che
nel mentre che tu stavi sopra l'isola deserta stafogandoti di cozze con
Giovanna e i pescatori io da solo chiuso in casa non potevo fare a meno
di pensare a te te lontana già da qualche settimana ho composti una
canzana praticando una gimkana che m'ha fatto al fin capire che tu sei
saresti stata eri fosti sarai sempre dillo pure anche Giovanna
(PUTTANA)
IL MIO AMORE, si il mio amore
Nonostante qualche dissapore
Come una libellula selvaggia Io sorvolerei pero'
"dimmi cos'hai fatto con il greco sulla spiaggia"
SENZA FIATO
SENZA BRONCO
TU SEI RITORNATA MA TI STRONCO
Se ti lascio in faccia i segni del saldatore so che capirai io non ti
serberò rancore

Le donne erano in vacanza sull'isola di Zacinto
Sono state pagate per partecipare alla competizione
Grecia, una gara di sesso orale. Nove prostitute arrestate
ATENE - L'isola che diede i natali al celebre poeta Ugo Foscolo è ancora fonte di ispirazione. Si tratta sempre di amorosi sensi, ma non in corrispondenza. Non c'è nulla di trascendentale, infatti, in quello che è accaduto lo scorso fine settimana nella tranquilla isola greca. Nove prostitute inglesi sono state arrestate per comportamenti osceni dopo aver preso parte ad una competizione di sesso orale.
Le donne erano in vacanza sull'isola, ma al riposo hanno preferito il singolare concorso e sono state pagate per sfidarsi nel sesso orale sulla spiaggia di Laganas a sud dell'isola ionica.
L'evento ha coinvolto sei uomini britannici e sei greci, tra cui due proprietari di un bar. Sembra che un video, destinato a circolare in internet, abbia immortalato questa gara vagamente "dionisiaca". Le baccanti sono tornate.


Repubblica, 14 luglio 2008

martedì 1 luglio 2008

PAESE CHE VAI USANZE CHE TROVI

La spiegazione: «È scritto senza errori. Ed esprime comunque un'idea»
Il tema con «vaffa...»? Non è da zero
Prof britannico premia con 2/27 il compito in classe di un ragazzo. Fatto di sole due parole: «Fuck off»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA — Tema di inglese alla maturità in una scuola del Regno: «Descrivi la stanza dove sei seduto». Svolgimento: «Fuck off». Per chi non conosce le parolacce in spoken english è l’equivalente di «vaffa...» nella lingua di Shakespeare.
L’esaminatore, che è un importante professore britannico, non ha battuto ciglio, non si è offeso e non ha dato zero al sedicenne. Il voto è stato 2 su 27: uno guadagnato perchè non c’erano errori di ortografia o di sintassi nel tema e il secondo perchè la frase esprime un pensiero compiuto. Il professor Peter Buckroyd ha spiegato nelle sue note al componimento che per guadagnare un punteggio minimo gli studenti debbono dimostrare di saper esporre «qualche semplice sequenza di idee» e saper «mettere alcune parole in ordine». Dunque «vai a fare...» ricade nella categoria valutabile con una certa positività. Il professore ha aggiunto che avrebbe aggiunto un voto in più se il ragazzo avesse concluso la frase con un punto esclamativo «Fuck off!», certamente adatto a un’ingiuria brusca.
La storia è stata raccontata dal Times, che si è scandalizzato, perchè il GCSE, General Certificate of Secondary Education, è un rito del sistema scolastico britannico, viene affrontato ogni anno da circa 780 mila sedicenni ed è decisivo per le iscrizioni alle più o meno prestigiose università. «Scrivete f*** off nel tema e prenderete il 7,5% del voto massimo. Aggiungete un punto esclamativo e il voto salirà all’11%», ha scritto il giornale con logica aritmetica.
Mr Buckroyd, che è chief examiner, responsabile anche per la preparazione dei colleghi membri di commissione d’esame, ha tenuto il punto. «Meglio un insulto che lasciare il foglio in bianco come fanno molti nostri ragazzi. Sarebbe stato sbagliato dare zero, perchè quel fuck off ha mostrato una istruzione di base». L’organismo di controllo degli esami AQA (Assessment and Qualifications Alliance) ora dice che è il caso di rivedere le linee guida per la valutazione della maturità. Ma concorda con il professore che il «caso unico di espressione del candidato andava comunque considerato».

Guido Santevecchi - LA STAMPA
30 giugno 2008